2023
– Se si è irrequieti si può stare traquilli, tributo a Pasquale Leccese, PAC Milano, 6 novembre, a cura di Giulia Currà, Paolina e Vito Leccese, Monika Spruth, Mariuccia Casadio, Marta dell’Angelo, Ilaria Villa e Diego Sileo
-Scritta sulla vetrina della galleria Le Case D’Arte, Turro, Milano
-collaborazione con Matteo Naggi per un piatto in ceramica per la Fondazione L’Afrique au Centre, Lilian Thuram Fundation, Parigi,
con Le Case D’Arte
-Pag Inverart-Artisti oggi, Palazzo Isimbardi, Milano, 8 – 14 ottobre, Guado Officine Creative
-donazione di un opera al Novara Jazz Festival
-Poster In The City, con Richard Prince, Sylvie Fleury, Jamel Shabazz, Marlene Dumas, Gabriele Picco, Rosmarie Trockel, Traslochi Emotivi, Fosco Valentini, Marta Dell’Angelo, ed. Le Case D’Arte
Le Case d’Arte di Pasquae Leccese, Turro (Milano)
Un mio lavoro nella Casa d’Arte di Pasquale Leccese a Cuggiono
2022
– intervento con foglia oro nel Calendario 2023 CasaCiccaMuseum
– inaugurazione spazio espositivo La Casa d’Arte di Pasquale Leccese, opera in collezione
-pubblicazione di Play – I Quaderni del Guado 7, Ed. Guado Officine Creative
-Abbati Play, presentazione con esposizione delle opere originali alla Cascina del Guado, a cura di Guado Officine Creative
-collaborazione con Paulina Mordvinova e Vladimir Mordvinov per la pubblicazione ‘Title’ ed. La casa d’arte, Le case d’arte, di Pasquale Leccese
-performance Io sono Niente, Galleria Al Minuto’, Pallanza (Vb)
2021
-inserimento di due opere nel calendario 2022 di CasaCiccaMuseum di Giulia Currà
-Zappingologia Editoriale, Studio Milo, 2-12 dicembre,
a cura di Studio Milo, testo di Alberto Clementi, Milano
– intervento sulla copertina della ‘Lettura domenicale’ del Corriere della Sera, dedicata a Pasolini, raffigurante un disegno di Marlene Dumas: l’opera fa parte ora della sua collezione ad Amsterdam.
da un’idea di Pasquale Leccese – Le Case D’Arte
2020
-per Cantina Urbana Milano etichetta d’artista,
a cura di Guado Officine Creative dal 1969
-collaborazione con lo studio di architettura Giola per la realizzazione di due grandi affreschi digitali
-pubblicazione di un’opera nel libro Iostoacasaaleggere – la lettura ai tempi del covid19,
di Luca Ferreri, Federico Scarioni, Paolo Testori, Fondazione per Leggere Ed.
-collaborazione grafica con Jama per l’uscita della canzone ‘Stay at home’
Mentre passo sul pianeta raccolgo i poster, 2020
2019
-realizzazione delle illustrazioni-allucinazioni, insieme a Stefano Cacciatore,
per il romanzo ‘14 ore a Natale’ di Federico Scarioni e Marco Porsia,
Chinaski Ed. Genova
-Azione Pittorica con Alberto Clementi,
sulle note dell’ensamble musicale diretto da Jama e la sua nuova band, ospite Enzo Caruso,
Velvet Underground Pub, 23 ottobre, Legnano (Mi)
-Alle fonti dell’arte, Chiostri dell’Umanitaria, 16 giugno – 7 luglio,
a cura di Francesco Oppi, catalogo ed. Raccolto, con intervento di Philippe Daverio, Milano
– Partecipazione al progetto Ateliers del fotografo svizzero Roberto Pellegrini,
con catalogo Salvioni Ed. e video a cura della RSI Cult +
-68 il mondo è qui, ieri, oggi e domani, Castello Visconteo, 21 -23 settembre,
a cura dell’associazione culturale Iniziativa Donna e Alberto Clementi,
Abbiategrasso (Mi)
2018
-Rigenerazione, Sala delle Colonne, 31 marzo – 15 aprile,
a cura di Galleria BreraUno Palazzo Comunale, Corbetta (Mi)
2017
-Scotchage, Sala esposizioni Panizza, 10 giugno – 2 luglio,
Catalogo con testo critico di Flaminio Gualdoni
A cura di Ubaldo Rodari, Ghiffa, (Vb)
-L’opera Verso Oriente inserita nel video Senza vento di Omar Pedrini,
per il film Milano in the cage, regia di Fabio Bastianello.
-14 personali in Villa Crespi Ronchi, 8-30 giugno,
a cura di Italy Sotheby’s International Realty e Outartlet Gallery
con intervento di Flaminio Gualdoni, Vigevano (Pv)
2016
– Performance live painting con Omar Pedrini,
Peyote Cafè, Magenta (MI).
2015
-Omaggio al Dadaismo, villa Ottolini Tosi, 10-22 marzo,
a cura di Artistocratic Busto Arsizio (VA)
– 17 artistes dans la citè medievale,
10-25 luglio, Vaison la Romain Haute Ville, Provenza (Francia).
– Opera scelta per illustrare l’articolo di Luigi Scotti “La dignità”
su “Il Foglio dell’Umanitaria”.
2014
– Frammenti di materia in 26 Combinazioni,
Sala F. Virga Centro Servizi per la Cultura, 15 febbraio-2marzo,
testo di Francesco Oppi, (catalogo Raccolto Ed.) Inveruno (MI)
– Scotchage, le stanze trasparenti, Santa Maria in Braida, 4-13 aprile,
a cura di Donatella Tronelli, Ecoistituto Valle del Ticino, Catalogo, Cuggiono (MI)
– Performance live painting per Jama Trio: Circolone di Legnano (Mi)
– Seconda edizione della Collettiva del piccolo formato, 1 -30 agosto, museo FLM,
a cura di Antonella Pintor, Banari (SS).
– Partecipazione al progetto Artoteca CSBNO-RACCOLTO con 10 opere.
2013
– Inverart – Padiglione Arte Giovane X ed., 15-17 novembre, a cura di Francesco Oppi,
catalogo Raccolto Ed., Inveruno (Mi).
-Illustrazioni per il libro “Il dinosauro di Plastica”
di Federico Scarioni , La Memoria del Mondo Ed.
2012
– Diretta web con Spartiacque -RAI 5. Intervista nel programma
ideato e condotto da Guido Morandini
– Finalista Premio L’Unità come cooperazione tra persone di buona volontà,
22 settembre 2 ottobre, Sassetti Cultura – Milano
– L’Arte in Prima Pagina – Santa Maria in Braida, 5-20 marzo,
a cura di Donatella Tronelli e Ecoistituto valle del Ticino, Cuggiono (MI)
– Dante 100 per 100 – Inferno, cento artisti per cento canti della divina commedia,
Palazzo Isimbardi, 8 novembre-13gennaio,
a cura di Francesco Oppi, Giorgio Lodetti, Andrea B. Del Guercio, catalogo Raccolto Ed.,
Milano
2011
– Circuiti Dinamici, Circolo Culturale Bertolt Brecht, 14febbraio 3 marzo
a cura di Lorenzo Argentino e StatArt, Catalogo, Milano
2010
IV ed. Movimento delle Segrete di Bocca, Galleria 9 colonne, SPE/Il Resto del Carlino –
a cura di Grazia Chiesa, Bologna
-Wannabee Prize, international Art contest, 2-14 ottobre,
Wannabee Gallery, a cura di Silvia Pettinicchio, Catalogo, Milano
– 10° Premio Nazionale d’Arte di Novara, 13-28 novembre,
Palazzo del Broletto, a cura di Art Action, patrocinio del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali e Regione Piemonte, Novara
– Inverart – Padiglione Arte Giovane VII ed., 19-21 novembre, a cura di Francesco Oppi
Inveruno (Mi) catalogo Raccolto Ed.
2008
– Premio Bocca “Bar Sì” Caffè Letterario, 30 giugno-5 settembre,
Galleria Vittorio Emanuele II, a cura di Giorgio Lodetti, Catalogo Bocca Ed. Milano
-copertina dello storico periodico “Il Foglio dell’Umanitaria”,
Società Umanitaria, Milano
2007
– Dante Cento per Cento, Inferno “Cento artisti per Cento Canti della Divina Commedia”
1 -25 luglio, Chiostri dell’Umanitaria, a cura di Francesco Oppi, Giorgio Lodetti, Andrea B. Del Guercio,
catalogo raccolto ed. Milano
– Inverart – Padiglione Arte Giovane IV ed., 16 -18 novembre, a cura di F. Oppi
Opera in copertina del catalogo Raccolto Ed. Inveruno (Mi)
Di Flaminio Gualdoni
Cólto, minuzioso, divertito. Soprattutto, non prigioniero della sacralità e delle liturgie dell’immagine d’arte; proprio come il suo maestro d’anima Jiří Kolář cultore della leggerezza dell’oggetto e, in cambio, preservatore della densità del vedere.
La sua idea di chiamare i propri lavori scotchage è un gioco sofisticato, rimemora con paradosso gentile il vecchio detto di Max Ernst secondo cui “Si ce sont les plumes qui font le plumage, ce n’est pas la colle qui fait le collage”: e quella di renderli presenze sospese e pressoché demateriate li sottrae, stando al canone moderno, al mito dell’objecthood, e a un diverso livello risponde al motto antico di Salvator Rosa per cui l’apparato della cornice è “alle pitture un gran ruffiano”.
L’immagine sola qui conta, nella nudità del processo operativo esibito senza iattanza, nella sequenza di passaggi lasciati in vista per cui il meccanismo del pensare s’identifica con quello stesso di scegliere e ricomporre, altro protocollo artistico che dall’identità storica dell’arte si travasa nel silenzio meticoloso e dolce della sua pratica quotidiana dello studio.
Certo, la tradizione vicina è quella del fotomontaggio del secolo scorso: là, però, la flagranza cruda della fotografia era centrale, agiva per trasferimento e amplificazione d’impatto in una sorta di super-referenzialità orientata. Abbati muove piuttosto dalla considerazione che l’antica lettura di Pierre MacOrlan su Eugène Atget (“l’immagine fotografica può essere straordinariamente inquietante se l’artista vuole, più inquietante della realtà”) valeva quando tra fotografia e realtà sussisteva ancora un rapporto almeno convenzionalmente stabile, mentre ora, dopo l’onda lunga della massmediatizzazione, anch’essa, la fotografia, è destinata solo a fornire alimento ai social tableaux teorizzati da Roland Marchand, ovvero alle finzioni caratterizzate dalla “brilliance of imagery and intensity of focus” che, da pubblicitarie, si sono ricostituite in pura, seducente sostituzione del reale.
Abbati ha ripercorso le vie meno stereotipe dello straniamento visivo per recuperare non l’autenticità presunta dell’immagine, ma la sua capacità di generare ulteriormente senso. Si è scelto erede dell’apparato di modalità dada-surrealiste, e da esse, attraverso esempi come Richard Hamilton e il cut-up di matrice letteraria, di ciò che malamente si è schematizzato in popism, ma disinnescandone il portato programmatico e provocatorio. Smonta e rimonta immagini, Abbati. Ma il suo ricostruire immagini è un viaggio poetico, piuttosto, un’operazione meravigliata nell’incessante desemantizzarsi e risemantizzarsi dei materiali, un’azione critica che gode del pregio di non volersi emblematica ed esortativa ma coltiva, di se stessa, la lucidità inflessibile, e un ritrovato possibile inventivo fratello non illegittimo delle vecchie macchine celibi.
Gran contaminatore, felice contaminatore, visionario da camera, Abbati mantiene l’aspettativa del guardare/vedere oltre le soglie ordinarie, nutrendola del proprio gioco sottile, mai scontato, di evocazioni e riverberi intellettuali.
Di Francesco Oppi
Nella ricerca di Giuseppe Abbati è dominante la curiosità verso gli stili e le correnti del ‘900. Della prima parte del secolo corto intravvediamo soprattutto un’anima dadaista espressa nel solco di Georg Grosz e Johannes Baader o, di più, di Hannah Hoch (a parte gli evidenti omaggi a Marcel Duchamp). Vediamo emergere così l’attrito dell’artista sulla realtà degli ultimi vent’anni nella scomposizione, nel taglio, che diventano il già ampiamente evocato agli inizi del 900 (dopoguerra e crisi sociali che ci appaiono chiaramente corsi e ricorsi), “atto eretico” e fondamentalmente liberatorio, attraverso il riassemblaggio di matrice concettuale dadaista.
A livello formale traviamo in queste “Combinazioni” tutto il lavoro di studio e ricerca che l’artista ha rivolto, particolarmente, ad alcuni dei grandi artisti attivi nella ricomposizione estetica a mezzo del collage; si vedono ad esempio oltre ai già citati, gli statunitensi Robert Rauschemberg e Eugene martin, per i rapporti tra materia e colore; il britannico Richard Hamilton, non per l’appioppato “pop”, ma per l’organizzazione spaziale e le inquadrature (“interior” e “Interior 2” del 1964-5 ne sono valida testimonianza) l’europeissimo Jiri Kolar, per la scientificità dell’approccio alla realizzazione dell’opera, per alcuni aspetti tecnici (tra cui sagomature e riempimenti) e per la meditata enfasi dedicata ai “vuoti” e “pieni”; il bruno Munari di alcuni collages ( “Ci ponemmo dunque in cerca di una femmina di aeroplano” del 1930) e per l’onirica ibridazione tra oggetti, e tra oggetti e figure.
Il lavoro di Abbati scaturisce anche da un’inevitabile e quasi genetica (è nato nel 1973) introiezione della “tempesta grafica” che va, in varie forme e su vari supporti e media, prima dal 1966 al 75 e poi al 1987. Alle radici di questa serie di lavori rinveniamo anche un senso di monumentalità ricollocato, a volte in contraddizione con il concetto dada. Abbati, infatti, crea soggetti totemici che “involontariamente” si piazzano, spesso addirittura iconicamente, al centro della scena.
Come e più di altri artisti, abbati è un avido divoratore e elaboratore di immagini; di stimoli accarezzati dove gli altri non trovano. Utilizza, poi, una brillante fantasia supportata dalla serietà nella ricerca formale, per progettare e costruire, a partire da queste “visioni”, nuove realtà possibili. Queste sue opere ci segnalano vie d’uscita inaspettate e fantastiche.
Le “Combinazioni” ci danno impressioni di nuovi spazi, di tenerezze inconcepibili (ad es. tra una zampa di cavallo e una serie di lavandini, come nella composizione Y o tra un ramo spoglio di Lagestroemia e una ruota di bicicletta come nella N): ironie profonde.
Prospettive, in entrata e in uscita, sempre in connessione e sempre libere. In tutte le porte, nelle finestre, negli stessi muri, negli specchi e nelle ante d’armadio (come quinte di scena) vi sono segnali, aperture, dialoghi evocati tra forma e cromia. Entrare in questi spazi. Questo è il desiderio a cui ci accompagna l’artista con questa serie di ventisei “ambienti”: o almeno a poterli vedere in 3D: stargli innanzi e respirare aria nuova.
L’indice alfabetico che accompagna le opere, è un codice compositivo, anche se non del tutto decifrato o decifrabile, ha un suono armonico e una propria poesia.
Un foglio dopo l’altro, non so ancora bene quanti. Il rimando immediato è al fumetto, ma all’inizio non capisci, ti confondi, ti spiazzi. Poi man mano tutto comincia a prendere logica, farsi racconto, sorta di epopea contemporanea, viaggio per sprazzi frullati dentro una società nei suoi idoli. E allora, play. Giochiamo. E per compagni i migliori, gli amici fidati, quelli sinceri come l’infanzia perduta, la sagacia di Topolino e l’innocenza di Pluto, il ghignetto di Zio Paperone e la saggezza consapevole di Gamba di Legno o Braccio di Ferro con l’esagitata Olivia… E, naturalmente, Paperino, il puro, nel cui primo piano, perplesso e desolato, parrebbe riflettersi ognuno di noi, Abbati in primis.
Perché intorno ci si scatena l’irrefrenabile vorticare di immagini e parole, allusioni a volti noti, brutali gradassi simbolo di potere, frasi a mozzicone seminate da punteggiatura a effetto, citando, a comando o a comodo, da Lao Tse a i mass media, ai tuttologi d’andata e ritorno, politica, economia, sesso, eccetera eccetera. Satura lanx, direbbero i latini, con quanto poi è venuto a significare.
Giochiamo, sì, ma il gioco si fa duro, così dicono. E a sottolinearlo, con la pregnanza propria, c’è il nero pastoso e tragico della matita grassa, già di per sé evocativo, che immerge il segno nella carta, per poi risputarlo con plastica violenza, dando impronta pittorica anche alle cancellature e riempiendo di sé pesino i vuoti delle vocali. Il colore fa solo capolino, ma in brandelli dipinti o a collage, ritagliati da giornali o messaggi pubblicitari o assurde etichette d’immaginifici prodotti, caotica ma non improbabile scenografia dell’interagire convulso dei personaggi. Sfogli, e pian piano capisci come va il mondo, il tuo. E quando a ogni voltar di pagina ti imbatti in piccoli dettagli ripetitivi da divenire iconici, quella graffetta appare simbolo della continuità del narrare, ma quel chiodo e quella puntina finiscono col pungerti dentro.
Giochiamo. Abbati l’ha fatto per due anni, dal 2018 al 2019, forse d’input, fissando frammenti e impressioni di un diario figurale che è testimonianza ma anche sensibile precognizione, visto quanto successo dopo e continua a succedere. Da eterno ragazzo, bello e scapigliato, uso a meditare davanti alla curva d’acqua più maestosa del Naviglio Grande. E dunque, chissà, forse c’era da aspettarselo, esattamente nel senso che da Giuseppe Abbati può arrivarti di tutto nel suo cammino in costante equilibrio sul difficile picco fra fantasia e razionalità.
Di Giuseppe Abbati
La prima volta che mi è venuta in mente la parola COMBINATION stavo facendo la mia passeggiata di routine lungo il Ticino. Erano i primi giorni di gennaio del 2013. Osservavo forme e colori dei sassi combinati con gli alberi, foglie combinate con i sassi, sassi con il bosco, acqua con i sassi, foglie con i rami e cosi via.. per occhi in grado di vedere l’infinita combinazione della materia in tutte le situazioni.
Dall’autunno stavo lavorando a dei ritagli di giornali che fissavo con lo scotch, perché avevo necessità di velocizzare l’operazione di incollatura, (una specie di face book o di tweet del collage).
Ma c’erano almeno due cose che mi creavano una resistenza interiore. La prima era che, pur piacendomi l’effetto che lo scotch provocava sui ritagli , non mi convinceva sulla carta bianca: il fondo infatti era un problema e non avevo idea di come intervenire, l’acrilico avrebbe annullato lo scotch ,altre tecniche non aderivano.
La seconda e più grave era il soggetto: la figura che negli anni aveva dominato la mia produzione cominciava a starmi un po’ stretta. Ero in un vicolo cieco e non avevo idea di come inventare una nuova via.
C’era però la plastificazione delle opere che avevo già sperimentato e che mi trasmetteva una sensazione di leggerezza , una possibile via da percorrere.
Cosi dopo alcuni giorni di galleggiamento, di passeggiate, di collage scotchati poco convincenti e di ricerche a sorpresa in mercatini dell’usato, mi viene in mente la mia infanzia tra i rottami nella demolizione d’auto di mio padre. Quel pomeriggio sfoglio ansiosamente una rivista e ritaglio tre immagini: una libreria, una bicicletta e una moto, tre elementi da combinare senza più utilizzare alcun supporto. Il ritaglio stesso è l’opera. Senza saperlo è nato il ciclo delle Combinations. Cosi tutto mi quadrava e le nuove opere facevano venir voglia di incominciarne subito un’altra, e questo per me è sempre stato un buon segnale.
Non davo loro neanche i titoli, ho iniziato a segnarle con le lettere, mi dicevo ‘se arrivo alla zeta mi inventerò qualcos’altro’, avevo entusiasmo creativo, giocavo con gli spazi interni ed esterni, con gli oggetti, mi sentivo felice, finalmente nella mia arte era entrato il mondo della materia, piegato però in chiave surreale.
Arrivato circa a metà, alla Combination L, mi sono reso conto che il lavoro aveva un suo senso in ordine cronologico, che era una specie di ‘Concept’, potevo osservare l’evoluzione del pensiero, le scelte prese man mano, come una catena, ogni opera aveva elementi in comune con quelle precedenti e con quelle successive. La serialità del lavoro è accentuata dalla medesima dimensione delle opere; mi ha sempre affascinato Goya con le sue incisioni “Les Desastres de la guerra” e “Los Capricios” o Chagall con “Le anime morte” dal romanzo di Gogol, tutte con le stesse dimensioni.
Poi una nuova idea: l’opera si può sviluppare come un vegetale all’interno del suo spazio trasparente, può crescere senza più badare alla forma rettangolare o quadrata, può semplicemente divenire.
Così nel concept entra la nuova idea che continuerà a influenzare il mio lavoro anche successivamente. E’ arrivato anche il nome della tecnica: ‘Scotchage’.
A un certo punto ho deciso di inserire anche la pittura, era convincente quel contrasto che si crea fra i colori stampati, i colori ‘dipinti’ e i ‘buchi’ nello spazio delle opere. Girando l’opera sono intervenuto con l’acrilico bianco a pennello e dita anche sul retro, incuriosito da come ritagli e frammenti si sono assemblati e come la mia intenzione e il caso si combinano.
Leggerezza, macchine volanti dell’inconscio, anche questo credo sia parte del lavoro e poi chissà cos’altro, lo scoprirò quando sarò osservatore più acuto.
E’ stato un bellissimo viaggio da gennaio a maggio, infatti credo che nella Combination Z si senta il sole dopo la lunga primavera piovosa del 2013.